11 novembre 2021, ArteMorbida
https://www.artemorbida.com/il-trionfo-della-fiber-art-ad-artissima-2021/
Sembrano lontani i tempi in cui di tessile, nelle grandi fiere, si vedevano solo dei piccoli Boetti. Nell’edizione appena conclusa di Artissima (la 28°, e la quinta consecutiva diretta da Ilaria Bonacossa) la fiber art occupa una parte non di poco conto, in cui tra i più classici tappeti e gli arazzi troviamo fibre tessili e inserti di ricamo che vanno a contaminare anche le opere di pittura più tradizionali, che simulano a volte, addirittura, l’effetto tessuto. Una presenza, quella della fiber art, che si rivela importante soprattutto tra le gallerie straniere, ma non solo.
Per l’Italia, la galleria Eastcontemporary di Milano, tra le new entries, porta una selezione di artiste provenienti dall’Est Europa tra cui la ceca Eliška Konečná, che presenta lavori in cui il ricamo disegna corpi aggrovigliati nel velluto imbottito. Da Sara Zanin (Roma) tre delicatissimi lavori degli anni ‘80 di Mariella Bettineschi in organza, piume, tulle e cerchi in oro, mentre da Repetto Gallery (Londra) un piccolo libro ricamato, degli stessi anni, di Maria Lai. Da UNA Gallery (Piacenza) troviamo invece lo spagnolo Josep Maynou con un grande tappeto marocchino, mentre da Prometeo Gallery (Milano) un tappeto ritagliato e ricamato di Ruben Montini.
L’estero è più generoso in termini di spazio riservato alla ricerca fiber, tanto che alcuni stand le sono interamente consacrati. Primo tra tutti, quello di Bruthaus (Waregem, Belgio) che pone in un dialogo forte, che si concretizza nella costruzione di un ambiente simile a un laboratorio di produzione, le opere tessili di Thomas Renwart e gli oggetti in ferro e corda ricoperti di vernice di Boel Willem. Altro stand dalla grande presenza di fiber art è quello di Gallery Nosco, Marsiglia, il cui spazio ad altezza occhi è interamente dominato dai ricami su tessuti di recupero del peruviano Jose Luis Martinat.
La marocchina Safaa Erruas, da 50 Golborne (Londra), è presente con due installazioni eteree intrecciate con aghi, piccoli bozzoli di cotone e lunghi fili metallici. Intrecci in filo, con tanto di ragno, da Nicoletti (Londra). Tracce fiber si riscontrano anche negli stand della galleria svizzera Urs Meile (Lucerna- Beijing) con i tessuti in poliestere strappati di Marion Baruch e le opere di Ju Ting che, con pesanti getti di acrilico gettato su tavola, simulano abilmente le pieghe morbide del tessuto, pur non essendolo per niente. Lavori fiber anche da Arcade (Londra-Bruxelles), che con Caroline Achaintre si sposta sul primitivismo con maschere e totem tribali intessuti in lunghi fili di lana colorata pendenti.
Stand personale invece per la cinese Miranda Fengyuan Zhang, che da Capsule Shangai porta i lavori intrecciati di fibre di lana multicolore, inspirata dall’attività della nonna che srotolava i vecchi maglioni di famiglia e con i fili ne ricostruiva di nuovi, con sorprendenti effetti cromatici, che, nell’opera dell’artista, si concretizzano in paesaggi appena accennati, in cui viene trattenuto il “calore” familiare. Anche per Encounter (Londra) la scelta cade su un artista unico, Alexis Teplin, che con sapienti “taglia e cuci” di stoffe di lino colorate ricrea un’opera, tra il tessile e la pittura, di forte impatto visivo. Completano lo stand gli abiti creati dallo stesso artista.
Incursioni fiber, anche se non con molta forza di significato, si trovano in Richard Kennedy, che porta da Peres Project (Berlino) due dipinti su tela con annesse trecce in fibra sintetica simili a quelle portate dallo stesso artista. Sempre da Peres, l’inglese Brent Wadden con lavori più convincenti: due grandi tappeti di lana tessuta a mano a strisce bianche e nere, alternate.
Isabelle Van Den Eynde (Dubai) porta un’artista, Hoda Tawakol, che usa la fiber con libertà come un medium tra gli altri per realizzare la sua giungla di mostri metà animali, metà vegetali. In un’esplosione di colori, le forme turgide dell’artista sono strettamente intrecciate con una riflessione sulle tematiche di genere. Mor charpentier (Parigi) propone gli strati di vestiti usati agglomerati in sfere in calcestruzzo dell’italiana Rossella Biscotti. La brasiliana Camila Sposati, per Georg Kargl (Vienna) gioca invece in profondità con strati di feltro ritagliati per creare geometrie tridimensionali. Tessuto imbottito anche per Lydia Pettit, proposta dalla galleria Sébastien Bertrand, Ginevra, che intraprende un’analisi del corpo porzionandolo in parti staccate, completate dal ritratto di un viso in ombra posto lì accanto.
I risultati più sorprendenti sono di opere fiber nel senso più ampio del termine, intesa cioè come uso di materiale morbido, flessibile, a dimostrazione che rinchiudersi in rigide categorie, anche di supporto, non favorisce la creatività. I risultati più stupefacenti, sia a livello scenico che di contenuto, sono quindi dell’iraniana Samira Hodaei, rappresentata dalla Moshen Gallery di Teheran, e del sudafricano Chris Soal, per WhatIfTheWorld (Cape Town). La prima, che ha già lavorato molto con l’intreccio e il ricamo, sembra qui staccarsi dalla tradizione del tappeto e del filo in senso stretto per ricreare, con un materiale che dal filo è solo derivato, installazioni fiber. Il materiale di cui si serve l’artista è costituito da guanti da lavoro grandi, neri e rossi, legati uno all’altro a formare catene, come a stringersi la mano ma (sarà l’usura, sarà il colore scuro) l’impressione che danno non è di solidarietà quanto di infortunio, e per ultimo morte. Ed entrando nello stand l’impressione è confermata nel ritrovare i guanti appesi, come carne da macello, a un gancio, su uno sfondo di drappi neri della stessa artista. Il secondo, Chris Soal, fa invece un uso libero di materiali poveri, in primis tappi e stuzzicadenti, usanti come elementi singoli di un grande gioco installativo che ribalta le logiche materiche dei supporti. I tappi di birra, bucati e infilati di seguito in un lungo filo elettrico, diventano materiale malleabile atto a creare scaglie luminose di elementi all’apparenza organici, zoomorfi, come code di serpente o tentacoli di piovra, mentre gli stuzzicadenti, bruciacchiati in cima e stipati l’uno accanto all’altro, producono effetti simili a una morbida pelliccia animale.
Bellissima performance anche per l’Hub India, una selezione di lavori curata da Myna Mukherjee e Davide Quadrio, in cui la fiber entra (un po’ a margine ma entra) come ricamo di piccole ferite rosse nelle tele nere di Ghanshyam Latua, in un contesto di lavori differenti tra loro ma tutti ugualmente raffinati.
L’impressione globale è di una fiber art all’avanguardia prevalentemente nei Paesi extra UE, che per abilità tecnica, delicatezza, pulizia e profondità dello sguardo, danno una piccola grande lezione di morigeratezza alla vanagloria occidentale.
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